“Carla ha seriamente pensato di morire quando, trovandosi alla guida della sua auto, ha improvvisamente sentito il cuore che batteva all’impazzata, uno strano formicolio agli arti, vampate di calore e una sensazione di stordimento. Spaventata, ha subito chiesto al marito di prendere il suo posto alla guida e di farsi accompagnare in pronto soccorso, convinta che le stesse per venire un infarto. I medici, dopo aver fatto le opportune indagini ed escluso la presenza di un problema al cuore, hanno parlato di sintomi tipici dell’attacco di panico.“
Un attacco di panico è un vero e proprio “tsunami” emotivo: consiste nella comparsa improvvisa di paura o disagio intensi che raggiunge il picco in pochi minuti, periodo durante il quale si possono verificare diversi sintomi quali: tachicardia, sudorazione, tremori, sensazione di affanno o mancanza d’aria, sensazione di soffocamento, dolore al petto, nausea, vertigini, vampate di calore, sensazione di formicolio, derealizzazione (percezione distorta della realtà) o depersonalizzazione (sentirsi separato da sé), paura di perdere il controllo, paura di morire (DSM 5).
Avere un attacco di panico una volta nella vita è un’esperienza comune ma per parlare di Disturbo di Panico è necessario che ci siano attacchi ricorrenti e inaspettati accompagnati da una preoccupazione persistente per nuovi attacchi o per le loro conseguenze e/o da una significativa alterazione del comportamento. “Carla iniziò guidare sempre meno e a farlo solo se accompagnata dal marito, ciò le causò non poche difficoltà al lavoro e in famiglia.“
Insieme al disturbo di panico spesso troviamo un’altra condizione clinica chiamata agorafobia: una paura marcata e persistente di trovarsi in luoghi o situazioni, come essere in mezzo alla folla, in uno spazio chiuso o da soli fuori casa, dai quali sarebbe difficile allontanarsi o dove potrebbe non essere disponibile aiuto in caso di sintomi tipo panico o altri sintomi invalidanti o imbarazzanti (ad es. la paura di vomitare). La persona fa di tutto per prevenire o ridurre al minimo il contatto con tali situazioni agorafobiche. Esistono differenze nel grado di intensità del disturbo, nei casi gravi la persona può trovarsi a non uscire più di casa.
Le persone che soffrono di un disturbo di panico non imparano solo a evitare le situazioni che temono possano innescare un attacco, ma si spaventano così tanto delle sensazioni fisiche del panico da concentrare costantemente la loro attenzione proprio su quelle: “ad ogni piccola “strana” sensazione, un doloretto o un’oppressione al torace, Carla pensava subito che il suo cuore fosse danneggiato e per essere sicura di star bene monitorava il suo corpo prendendosi il polso più volte al giorno.“
Il modello cognitivo standard del panico di Clark spiega bene come gli attacchi di panico si verifichino quando la persona percepisce alcune sensazioni corporee e mentali innocue legate all’attivazione neurovegetativa come molto pericolose, cioè le interpreta quali segnali di un’imminente e improvvisa catastrofe (segno di morte, pazzia o perdita di controllo). Il modello presuppone che le persone più vulnerabili al disturbo abbiano una caratteristica di personalità particolare, una elevata “sensibilità all’ansia” ovvero la tendenza a spaventarsi molto dei sintomi fisici dell’ansia stessa (battito accelerato, nausea, sensazione di “fame d’aria”, ecc.).
“Carla aveva imparato che non stava avendo un infarto quando sentiva oppressione al petto e che probabilmente era solo ansia, ma non riusciva a non farsi trascinare dal flusso dei pensieri: “e se stavolta fosse un problema al cuore?”, “e se i sintomi non mi passano più?”, “e se mi venisse un attacco di panico proprio ora?”. Quei “e se…” erano i primi pensieri che le venivano in mente quando notava delle sensazioni fisiche indesiderate“. Ed è proprio questo modo di pensare a essere responsabile del mantenimento del disturbo, insieme all’evitamento, alla fuga e alla ricerca di sicurezza che vengono messi in atto per “proteggersi” dagli esiti temuti ma che in realtà non consentono alla persona di disconfermare le proprie credenze erronee.
“Carla ben presto iniziò a provare molta tristezza e senso di colpa perché non riusciva più a condurre la sua vita come prima: vedeva come il disturbo interferisse nelle sue relazioni familiari e sociali e come le impedisse di fare quello che desiderava con un impatto significativo sulla qualità della sua vita.“
In merito ai trattamenti psicologici, le linee guida APA (American Psychiatric Association) costatano che l’utilizzo della Terapia Cognitiva Comportamentale è fortemente raccomandata da numerosi studi di trial clinici. In genere questo tipo di terapia prevede la psicoeducazione, l’auto monitoraggio, l’esposizione agli stimoli ansiosi, la modifica dei meccanismi di mantenimento del disturbo e la prevenzione delle ricadute. Anche la Terapia Cognitiva-Comportamentale di gruppo può avere dei benefici; il gruppo può essere un aiuto che rafforza la fiducia in se stessi e la possibilità di attivare nuove risorse per il cambiamento.
Presso lo Studio le Metamorfosi c’è la possibilità di avviare percorsi di psicoterapia cognitiva comportamentale individuale o in piccolo gruppo per il trattamento delle problematiche di ansia e di panico.
Non esitare a contattarci, gli attacchi di panico possono essere gestiti, l’importante è fare il primo passo e cercare supporto.
Bibliografia:
“Il manuale dell’ansia e delle preoccupazioni”, David A. Clark e Aaron T. Beck, Positive Press 2016
“Elementi di psicoterapia cognitiva”, C. Pertighe e F. Mancini, Giovanni Fioriti Editore 2010
“Le linee guida per il trattamento psicologico del disturbo da attacchi di panico e del disturbo d’ansia generalizzata: una panoramica”, G. Rogier, F. Mancini Cognitivismo Clinico 2021
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Nata negli anni ’60 la terapia cognitivo comportamentale, secondo l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) e l’ISS (Istituto Superiore di Sanità), è considerata tra i modelli più validi per far fronte a disturbi psicopatologici, in particolari i disturbi d’ansia e depressione. Si basa su evidenze scientifiche che ne sottolineano l’utilità e l’efficacia non solo in termini di trattamento, ma anche nel prevenire le ricadute.
La TCC (terapia cognitivo-comportamentale) unisce due forme di terapia:
La Psicoterapia Comportamentale: indaga la relazione tra situazioni/eventi e le reazioni comportamentali-emotive
La Psicoterapia Cognitiva: individua gli schemi cognitivi e i pensieri disfunzionali ricorrenti concomitanti alle emozioni negative vissute dall’individuo
Secondo la terapia cognitivo-comportamentale le emozioni si guardano in 3 livelli di funzionamento:
Fisico – corporale: come il corpo reagisce alle emozioni
Fenomenologico-cognitivo: i pensieri che si sviluppano
Espressione stessa dell’emozione: il comportamento messo in atto
Ciò mette in evidenza quanto sia complessa la relazione tra emozioni, pensieri e comportamenti e quanto possano influenzarsi a vicenda.
L’analisi di tale relazione è uno dei fondamenti della TCC che permette di identificare e modificare quei pensieri disfunzionali che creano e mantengono i problemi psicologici, emotivi e di comportamento.
Non sono, quindi, gli eventi stessi che accadono a mantenere le difficoltà dell’individuo, ma gli schemi disfunzionali, spesso attivati inconsciamente, con cui esso li affronta.
La psicoterapia cognitivo-comportamentale prevede che paziente e terapeuta collaborino nell’identificare e mettere in discussione le modalità di pensiero disfunzionali per stabilire poi assieme gli obiettivi della terapia e scegliere le strategie che più si adattano alle esigenze del paziente stesso.
La TCC ha come focus le difficoltà che il paziente riscontra nella propria quotidianità, ma tiene un occhio al “passato” per indagare come gli schemi maladattivi siano stati appresi, poiché è necessario andare a smontare determinati schemi per poterne padroneggiare di nuovi.
Per far ciò la psicoterapia cognitivo-comportamentale agisce in modo attivo e concreto chiedendo al paziente di identificare i propri pensieri e le proprie emozioni, di sperimentare modi di reagire differenti praticando tecniche e strategie concordate con il terapista.
Lo scopo è di individuare nuove modalità per regolare in maniera più efficace le proprie emozioni e riuscire a generalizzarle per poter usufruire di questi “strumenti” nella vita di tutti i giorni.
La psicoterapia cognitivo-comportamentale è uno degli approcci e delle specializzazioni che mettono a disposizione le nostre psicologhe/psicoterapeute.
Se pensi di poterne avere bisogno, contatta la Segreteria dello Studio per maggiori informazioni.
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Le persone che iniziano una psicoterapia, spesso chiedono di “poter essere di nuovo felici”. Tutti noi la ricerchiamo e la desideriamo, ma che cos’è la felicità? Una prospettiva, la più comune, considera la felicità come l’eliminazione della sofferenza e il conseguimento di un senso di piacere e gratificazione. Ma la felicità, come qualsiasi emozione, non dura per sempre. Seguire insistentemente una emozione positiva come la felicità porta, come spesso accade, a una profonda insoddisfazione.
L’altro significato, forse meno comune, implica il “vivere una vita ricca, piena e significativa”, agendo in nome di ciò che per noi veramente conta. Vivere pienamente la vita significa provare l’intera gamma delle emozioni umane, comprese quelle più dolorose come la tristezza, la paura, la rabbia, ecc. Non possiamo evitarle, ma possiamo imparare ad affrontarle al meglio.
Inoltre, secondo la prospettiva della Psicologia Positiva, l’individuo ha maggiori possibilità di sentirsi bene soggettivamente se si impegna a seguire i propri valori. Da questo punto di vista, il benessere soggettivo è collegato all’impegno e alla capacità di coltivare sé stessi secondo sei fondamentali dimensioni: l’autonomia, la crescita personale, le relazioni interpersonali positive, il controllo degli eventi, l’accettazione di sé, il perseguimento di scopi significativi.
Come sostenuto dalla Dr.ssa Pertighe (docente della Scuola di Psicoterapia Cognitiva) “la trappola è nella ricerca dello stato emotivo felicità, nel voler essere felici e criticarsi se non lo si è. Non c’è trappola se ci si impegna a vivere secondo i propri valori morali; la felicità non è cercata ma ne consegue, intesa non come gioia/eccitazione ma come emozione coerente con mi sento a posto, sono soddisfatto di me”.
Quindi cosa significa iniziare un percorso di psicoterapia?
Non solo il trattamento dei disturbi psicologici per alleviare le sofferenze emotive ma anche il sostegno della persona nel focalizzare i propri obiettivi di vita e valori e nell’impegnarsi a perseguirli.
Se vuoi sapere come posso aiutare anche te, nel raggiungere questi traguardi e nell’ottenere la tua felicità…non esitare a contattare la segreteria dello Studio!
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