La Gestalt Play Therapy è un modello terapeutico psicologico di intervento con bambini e adolescenti di grande semplicità, potenza ed efficacia: sviluppato da Violet Oaklander dagli anni ’70, è anche un modo di intendere l’infanzia e l’educazione utile a chiunque voglia rendere la crescita delle nuove generazioni più florida, piena e felice.
Dalle parole della fondatrice Violet Oaklander: “Ho sviluppato un modello terapeutico basato sui principi della terapia della Gestalt allo scopo di aiutare i terapeuti ad avere una guida nel loro lavoro“. Questo perché coloro che lavorano coi bambini usano molte tecniche creative, espressive e di gioco e questo lavoro viene spesso mal compreso e visto come “solo giocare”.
Queste tecniche sono invece la massima essenza di un lavoro e spesso diventano ponti verso il sé profondo dei bambini e consentono un’espressione efficace e potente. Questo lavoro è applicabile a tutte le età, compresi gli adolescenti (e anche gli adulti), e può essere usato in molti setting differenti.
Il modello infatti contempla una vastissima varietà di strumenti artistici a disposizione del terapeuta, tra i più usati: il disegno, le fantasie guidate, i burattini e i pupazzi, l’argilla, la vasca della sabbia, il collage, le carte proiettive. Grazie a tutti questi “media” il terapeuta può incontrare il bambino in un gioco creativo in grado di aprire alle emozioni e ai vissuti dentro di lui che hanno perso energia o risultano bloccati.
Quando i bambini/ragazzi iniziano a conoscere e definire sé stessi attraverso le espressioni di desideri, bisogni, volontà, gusti, idee ed opinioni, migliorano l’auto supporto, che è un prerequisito necessario per l’espressione delle emozioni bloccate. Il lavoro di espressione emotiva si articola infatti nell’aiutare il bambino a capire quale emozione sta provando ed imparare ad esprimerle attraverso dei canali espressivi che risultino per lui modi efficaci e luoghi sicuri.
L’obiettivo è di aiutare il bambino a sentirsi più felice nel mondo e a sviluppare un senso del sé più forte. I sintomi e comportamenti che producono l’attenzione dell’adulto spesso sono le evidenze dell’interruzione della capacità innata nel bambino di garantirsi una salute emotiva.
Il compito del terapeuta è supportare la spinta del bambino alla crescita e alla vita e di aiutarlo a tornare sul sentiero di una corretta crescita, ricordando che ogni bambino e ragazzo porta dentro di sé una bellezza che spesso neppure ri-conosce a sé stesso e che il lavoro psicoterapico tramite il gioco può aiutare ed esprimere e valorizzare.
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La psicoterapia sistemico-famigliare è un approccio che ha portato grandi novità nell’ambito della salute mentale ponendo il focus sull’osservazione dell’individuo inserito nella rete delle sue relazioni più significative, primo tra tutti quello famigliare.
Secondo questo orientamento, il sistema familiare è scomponibile in diversi sottosistemi (individuale, diadico, familiare, intergenerazionale) che convergono al funzionamento omeostatico dello stesso, cioè all’equilibrio e al soddisfacimento dei suoi bisogni interni. Per comprendere pertanto il comportamento dei singoli è necessaria una valutazione dei sottosistemi che vanno a dare senso e identità a quella specifica famiglia, cioè la costruzione degli “intrecci familiari” che forniscono il senso di una storia che coinvolge più generazioni.
Tale approccio è considerato l’approccio “maestro” nel lavoro con le famiglie, poiché la famiglia viene intesa come il sistema principale in cui è inserito un individuo. La famiglia è dunque considerata una realtà complessa, che va anche analizzata in base alle dinamiche comunicative che si instaurano tra i membri, in cui ciascun membro partecipa a determinare il malessere o il benessere emotivo di tutti gli altri membri.
Allo stesso modo però i contesti significati per una persona non si esauriscono nella famiglia, bensì anche la scuola, il lavoro, la cerchia amicale o la società locale sono aspetti che possono fornire importanti informazioni in grado di influenzare il comportamento e i sentimenti di ognuno.
Con la psicoterapia sistemica-relazionale si vanno a costruire delle ipotesi di lavoro terapeutico orientate sull’osservazione o la descrizione delle relazioni significative per la persona, per delineare possibili ruoli o dinamiche disfunzionali cristallizzate e discapito del benessere della persona. Di particolare importanza se il disagio è portato da un bambino/ragazzo, può essere un grave errore slegarlo dal contesto di significati familiari nel quale vive e cresce.
La psicologa specializzata in psicoterapia sistemico famigliare avrà come compito e obiettivo:
individuare, assieme ai membri della famiglia, i modelli di comportamento e le dinamiche relazionali
individuare i punti di forza e di debolezza che favoriscono o ostacolano la comunicazione
individuare obiettivi e strategie per fronteggiare il problema per cui si chiede consulto
guidare la famiglia nei momenti di passaggio o di crisi per ristabilire un equilibrio con nuove strategie funzionali.
Spesso non è solamente la persona individualmente a venir presa in carico, bensì tutta la famiglia che diventa parte attiva del cambiamento.
La psicoterapia sistemico relazionale risulta particolarmente indicata nei seguenti casi:
difficoltà nella relazione col partner: crisi di coppia, separazione, difficoltà comunicative
sofferenza/difficoltà nelle specifiche fasi evolutive della famiglia: la nascita di un figlio, l’inserimento a scuola, l’adolescenza, l’abbandono da casa (nido vuoto), ecc.
fronteggiare eventi critici per l’intera famiglia: come ad esempio separazioni, lutti, divorzi, malattie, traslochi, ovvero tutti quei passaggi che possono andare a cambiare gli equilibri famigliari
in situazioni in cui a percepire la difficoltà può essere un figlio, manifestandola con vari sintomi psicopatologici o comportamenti critici
In quest’ultimo caso spesso è consigliato, affianco al percorso psicologico individuale del figlio, un percorso di supporto alla genitorialità. Lo psicoterapeuta aiuta ed accompagna i genitori in un momento complicato con i propri figli, individuando e fornendo loro delle strategie comunicative relazionali più funzionali.
La psicoterapia sistemico-relazionale famigliare è uno degli approccio e delle specializzazioni offerto dalle nostre psicologhe/psicoterapeute.
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Sta finendo l’estate e l’arrivo dell’autunno porta con sé anche la ripresa scolastica, momento atteso ma anche temuto da molti bambini e ragazzi. Purtroppo un numero fin troppo elevato di bambini che conosco detesta la scuola, per alcuni rappresenta addirittura una sorta di prigione!
Perché la scuola può fare paura?
La scuola è un contesto sociale molto importante ma non sempre facile per i bambini, che si trovano a confrontarsi con il gruppo dei coetanei all’interno di alcune regole e aspettative sociali che inevitabilmente possono risultare incomprensibili o frustranti. Allo stesso tempo la scuola è una splendida palestra di vita! Lì il bambino sperimenta, conosce, cresce, lasciando man mano la dimensione protetta della famiglia per esplorare il mondo al di fuori di essa. In questo delicato passaggio evolutivo è di fondamentale importanza il ruolo dell’insegnante in quanto adulto che stimola, incuriosisce, propone nuove idee e nuove attività. L’età scolare si contraddistingue proprio per l’investimento intellettivo e la laboriosità che coinvolge il bambino. Non di rado infatti si possono osservare gruppetti di bambini/ragazzini che parlano tra loro animatamente intenti a pianificare l’attività del pomeriggio, che sia fisicamente insieme o anche virtualmente collegati on line. Se debitamente controllata dall’adulto infatti, anche la vita online (i videogiochi) può rappresentare un momento di condivisione e di relazione tra coetanei.
Cosa osservare nel bambino?
Se è normale nei primi giorni il bisogno di avere la mamma vicino, qualche difficoltà nell’addormentamento o un minor appetito, questi segnali devono invece destare dei sospetti se si protraggono nel tempo o se si manifestano improvvisamente nel corso dell’anno scolastico. Per capire se sintomi come nausea, mal di pancia, mal di testa, difficoltà nell’addormentamento o sonno interrotto sono di natura fisica o psicologica bisogna osservare la loro frequenza e ricorsività. In particolare bisogna prestare attenzione ai momenti d’insorgenza nella settimana/giornata (es. se la domenica sera o il lunedì mattina), se compaiono anche quando il bambino è impegnato in attività piacevoli (es. il gioco), se passano con la vicinanza del genitore (es. addormentamento insieme). I sintomi somatici che coinvolgono l’alimentazione o il sonno sono espressione tipica di alcuni stati emotivi quali l’ansia e la paura, e solitamente sono transitori (meno di un mese) andando man mano diradandosi. Diversamente invece, se questi disturbi non passano, è opportuno fare una visita col pediatra di famiglia per valutare lo stato di salute generale.
Altre volte, purtroppo, questi primi segnali di malessere si trasformano in comportamenti di rifiuto scolastico vero e proprio, dove il bambino inizia ad innervosirsi nel fare i compiti, si fa venire a prendere ripetutamente dai genitori durante l’orario scolastico fino ad opporsi di entrare a scuola la mattina. Queste situazioni che vanno progressivamente aggravandosi, devono essere sottoposte quanto prima ad un consulto psicologico specialistico per evitare che possano cronicizzarsi rischiando di compromettere la frequenza scolastica.
Come capire dov’è il problema?
All’interno del contesto scolastico le situazioni scatenanti possono variare molto: dal cambiamento di un insegnante ad un litigio con un compagno fino ad arrivare a situazioni più gravi come atti di bullismo e prevaricazione. Non è sempre facile sapere dai diretti interessati cosa provoca loro ansia e paura, a volte perché troppo piccoli per riuscire a raccontarlo altre volte perché bloccati dalla paura stessa o dal timore di ricevere il rimprovero del genitore se per esempio è successo un litigio a scuola dove anche loro sono stati coinvolti. E’ importante allora parlare con le maestre raccontando cosa si è osservato a casa e capendo se anche loro a scuola hanno notato un atteggiamento diverso nel bambino. Creare e alimentare un dialogo costante e una stretta collaborazione con gli insegnati è un primo elemento protettivo rispetto alle situazioni di disagio scolastico e relazionale.
Cosa può fare il genitore?
Innanzitutto non serve rimproverare il bambino: il mal di pancia o gli incubi non sono capricci ma piuttosto espressione di uno stato di stress emotivo. Quel che il genitore può fare è ascoltare e capire. Se il bambino col suo comportamento sta chiedendo maggior tempo con noi per essere rassicurato o per fare con più calma la colazione, vuole dire che ciò gli serve in questo momento per affrontare la piccola battaglia di crescita che è in corso dentro di sè. A volte può aiutare prendersi un momento tranquillo genitore-figlio dove parlare del malessere in corso cercando insieme delle strategie per affrontarlo. Altre volte può essere utile creare col bambino una sorta di “amuleto protettivo”: un oggetto che insieme avete investito di “poteri magici”, dove il genitore abbia lì personificato la propria vicinanza e la propria stima. Questo oggetto potrà essere utile al bambino che, stringendolo, potrà sentire la forza e la sicurezza datagli dal rapporto di fiducia con mamma e papà.