Ricevere una diagnosi di disturbo dello spettro autistico per il proprio bambino non è sicuramente una cosa semplice, né a volte facile da metabolizzare e gestire.
Quello che però deve essere ben chiaro ai genitori fin da subito è che si tratta di un “punto di partenza”, un modo per chiarire le caratteristiche di funzionamento del proprio bambino, capire quali possono essere le sue traiettorie di sviluppo e quali gli approcci riabilitativi più efficaci ed adeguati.
Le ricerche scientifiche hanno dimostrato come un intervento riabilitativo precoce ed intensivo, sia quello che può garantire nel lungo periodo i risultati migliori, le migliori condizioni di adattamento sociale e la migliore qualità di vita per questi bambini…perciò non ci si deve perdere d’animo, ma anzi cercare gli specialisti più adatti e competenti perché ci sono molti approcci validi ed efficaci…basta solo trovare il più adatto per il proprio bambino!
I percorsi riabilitativi d’elezione in caso di disturbi dello spettro dell’autismo, che spesso vengono portati avanti in parallelo (o si alternano a seconda delle fasi di sviluppo) sono la neuropsicomotricità e la logopedia: entrambe condotte da professioniste sanitarie laureate ed abilitate.
Il momento giusto per iniziare è appena si riceve la diagnosi: non esistono bambini “troppo piccoli” o “non pronti” per la terapia! Esiste solo la ricerca del percorso e delle tecniche più adatte all’età ed alle specificità di ogni piccolo paziente.
Ovviamente ogni percorso è a sé, altamente specifico ed individualizzato (soprattutto nelle fasi iniziali) e viene progettato a seconda dell’inquadramento medico-diagnostico e del bilancio logopedico e neuropsicomotorio che si delinea a seguito di una approfondita valutazione del bambino. Quelli che vengono descritti di seguito sono i principi di base che guidano le scelte e l’iter riabilitativo.
Le prime fasi della terapia neuropsicomotoria normalmente riguarda lo sviluppo ed il sostegno dei “pre-requisiti” della comunicazione: quell’insieme di competenze che il bambino deve far emergere per poter iniziare poi una qualche forma di relazione comunicativa (verbale e non) con l’altro.
I principali pre-requisiti comunicativi sono:
- Il contatto oculare: il guardare negli occhi l’altro
- L’attenzione: riuscire ad avere tempi attentivi adeguati a favorire nuovi apprendimenti
- L’attenzione condivisa: il riuscire ad indirizzare l’attenzione dell’altro verso un “oggetto” interessante per il bambino
- L’attenzione per la voce umana e la risposta al proprio nome
- L’alternanza dei turni: riuscire a condividere un’attività di gioco con uno scambio dei turni d’azione
- L’imitazione: l’osservare l’altro per imitarne comportamenti, schemi di gioco, azioni, parole…
- L’uso di segni e gesti: utilizzare l’indicazione, mimare oggetti con le mani, usare gesti referenziali (es. Per il “ciao”)
Ovviamente tutto ciò si struttura all’interno di attività ludiche: il gioco infatti è il principale e primario strumento di scoperta ed interazione con il mondo che il bambino ha a disposizione e sperimenta ed anche le modalità di gioco ed il livello di sviluppo del gioco sono indicatori predittivi importanti.
Nel setting di terapia si impara a giocare! Supportando e guidando i primi schemi d’azione con gli oggetti, favorendo il gioco costruttivo, attraverso cui il bambino inizia a comprendere le relazioni tra gli oggetti (dapprima imitando e poi essendo autonomo), per arrivare al gioco simbolico vero e proprio. Capire come i bambini giocano è essenziale per “incontrarli” nella loro fase evolutiva e da lì iniziare a costruire competenze…senza un adeguato uso di gesti e simboli e senza capacità costruttive, sarà molto difficile costruire una comunicazione funzionale ed un linguaggio.
Molti bambini nello spettro autistico presentano inoltre in comorbilità anche un disturbo della coordinazione motoria più o meno significativo. In tutti questi casi quindi il lavoro neuropsicomotorio si orienterà quindi anche verso il miglioramento delle competenze prassiche, della costruzione di sequenze di movimenti, della coordinazione generale e della motricità fine.
Adeguate abilità motorie sono un altro importante requisito per il linguaggio verbale e lavorarle prima/insieme agli obiettivi linguistici garantisce i risultati migliori e le evoluzioni più rapide.
Il lavoro Logopedico ha invece come obiettivo generale la comunicazione: essa può avvenire tramite il canale verbale (le parole) ma non sempre i bambini con disturbi dello spettro hanno accesso da subito a questa via e/o a volte si dovranno prima sviluppare i pre-requisiti di cui si è parlato sopra unitamente ad altri più strettamente comunicativo-linguistici.
Si dovrà quindi verificare la presenza (o lavorarci in modo specifico) della capacità di utilizzare strumenti (nel gioco), della capacità di imitazione del modello adulto, della presenza di iniziativa comunicativa ed interesse nella relazione con l’altro.
Da questa base di partenza si andranno ad esplorare poi i vari canali comunicativi a disposizione del bambino: se il linguaggio verbale è possibile/presente, esistono vari approcci disponibili, uno ad esempio è la tecnica PROMPT, che lavora su tutti i domini descritti, per consolidare le capacità di base e poi si concentra sui movimenti motori-articolatori necessari per l’emissione del suono attraverso input tattili-cinestetici agli organi interessati all’articolazione, per far sì che il bambino percepisca tali strutture e se necessario venga guidato nei diversi movimenti implicati nell’emissione dei suoni e delle parole.
Quando è presente anche una difficoltà di coordinazione motoria, che può configurarsi in una disprassia verbale, uno dei trattamenti d’elezione disponibili è il DTTC (dynamic temporal and tactile cueing) che si basa sui principi di apprendimento motorio ed è una stimolazione integrale che utilizza stimoli visivi, uditivi e tattili e dà rilievo al fattore temporale tra lo stimolo della terapista e la risposta imitativa del bambino.
Esistono poi dei bambini che iniziano a parlare attraverso espressione gestaltiche, definiti quindi “gestalt processors”, si esprimono con frasi o sequenze di parole e non hanno un apprendimento per singole parole, spesso è presente il fenomeno dell’ecolalia ed usano il linguaggio apparentemente con scarso intento od efficacia comunicativa. Anche per questi bimbi esiste un approccio più indicato ed è quello denominato NLA – natural language acquisition, che li supporta nello sviluppo e nell’evoluzione della capacità di utilizzare parole, frasi, con fini comunicativi e relazionali.
Se invece il linguaggio verbale non è presente o è difficilmente accessibile, ma il focus resta la comunicazione, ci si può avvalere di modalità di CAA-comunicazione aumentativa ed alternativa, che possono riguardare l’uso di gesti e segni tracciati con le mani, oppure l’uso di pittogrammi. Questo per dare loro accesso sia ad una migliore comprensione del linguaggio e del mondo, sia per permettere loro di interagire con chi li circonda. Talvolta poi si riesce ad evolvere verso la verbalità, altre volte si continuano a consolidare queste strategie.
Tutte le metodologie disponibili comunque prevedono un lavoro di squadra tra terapista, famiglia e scuola: ognuno con le sue competenze, le sue possibilità ed i suoi setting. Solo lavorando tutti insieme e con una modalità coerente e condivisa possiamo ottenere i migliori risultati possibili e guidare il bambino lungo la sua traiettoria di sviluppo.
Quando i bimbi iniziano a diventare grandi e gli obiettivi si spostano anche verso la loro autonomia nel mondo, molto utili possono essere i percorsi in piccolo gruppo, spesso (o meglio se) condotti in modo congiunto tra neuropsicomotricista e logopedista, per poter sviluppare obiettivi relazionali, di autonomia nelle attività/necessità quotidiane, anche fuori da un setting di terapia “convenzionale”. E’ utile infatti fare “esperienza nel mondo” per mettersi alla prova (e supportarli laddove necessario) in tutte quelle piccole e grandi sfide che riguardano la vita di ogni giorno di questi bambini, ragazzi e futuri adulti.
Tutto ciò fin qui descritto riguarda alcuni esempi di quanto è possibile fare con i bambini che hanno ricevuto una diagnosi di disturbo dello spettro autistico, ma è essenziale non dimenticarsi anche dei genitori e delle famiglie. Spesso infatti le difficoltà iniziali riguardano soprattutto loro: nell’accettare la diagnosi, orientarsi in quello che sarà necessario fare, comprendere i meccanismi di funzionamento del proprio bambino. Il consiglio è quindi di prevedere un supporto alla genitorialità, che può essere offerto da una psicologa specializzata, che sosterrà quindi la coppia nell’affrontare tutti i dubbi, le incertezze e le criticità che possono essere presenti nella vita quotidiana.
Per concludere quindi, se ricevete una diagnosi di disturbo dello spettro autistico, la prima e più importante cosa da fare è individuare una struttura e/o dei professionisti competenti che possano aiutare voi ed il vostro bambino nel viaggio che vi aspetta…e noi siamo qui per questo!
Dott.ssa Vanna Granetto
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